Disfagia: è presente in più della metà dei pazienti con Parkinson

Disfagia: è presente in più della metà dei pazienti con Parkinson

La disfagia (difficoltà o impossibilità di deglutire) rappresenta uno dei sintomi più importanti nei pazienti con Parkinson. Compare, in genere, a 10 - 11 anni dall’esordio dei sintomi motori classici della malattia e, nelle fasi più avanzate, tutti i pazienti presentano questo problema. Logopedia e trattamenti locali possono aiutare.

Gli studi mostrano come il problema disfagia sia presente in circa il 53-54% dei pazienti affetti da malattia di Parkinson, sebbene i disturbi potenzialmente legati al fenomeno siano in realtà molto sottostimati e si possa tranquillamente ammettere che, nelle fasi più avanzate della malattia, tutti i pazienti presentino il sintomo disfagia, sia che tale sintomo venga individuato dalle indagini cliniche e dai disturbi soggettivi lamentati dal paziente, sia che lo stesso venga documentato, occasionalmente, dalle indagini che esplorano la funzione deglutitoria.

È stato documentato che circa il 15-20% di pazienti con malattia di Parkinson, pur non lamentando disturbi soggettivi o segni clinici riconducibili alla disfagia, mostrano alle indagini presenza di frammenti di cibo nelle vie aeree. In tali pazienti la severità delle anomalie della deglutizione è in relazione alla durata di malattia e la disfagia, come problema clinico, compare, in genere, molto tardivamente nella malattia di Parkinson, a 10 – 11 anni dall’esordio dei sintomi motori classici della malattia.

La disfagia coinvolge comunemente la fase orale e quella faringea sebbene evidenze cliniche e anatomo-patologiche oggi indichino una significativa compromissione anche della fase esofagea della deglutizione.

Il problema, almeno all’inizio, non determina disturbi severi della deglutizione che rimane funzionalmente integra anche in presenza di anomalie. Le stesse anomalie, all’inizio possono rispondere alle terapie farmacologiche specifiche della malattia di Parkinson (L-dopa e dopaminoagonisti) ma quando il quadro fisiopatologico investe i meccanismi automatico-riflessi della deglutizione, cioè la fase faringea e quella esofagea, non esiste assolutamente una responsività a tali trattamenti.

In tali casi l’apporto di tecniche logopediche di compenso, la scelta di alimenti adeguati e la selezione di trattamenti locali come l’applicazione di tossina botulinica allo sfintere esofageo superiore o la miotomia del muscolo cricofaringeo o, infine, la gastrotomia endoscopica percutanea (PEG), possono rappresentare gli strumenti terapeutici più corretti.