Parkinson, per una nuova presa in carico: “Dalla cura della malattia alla cura della salute”

Pubblichiamo l'intervista rilasciata dal Dott. Antonino Trimarchi, Consigliere di Parkinson Italia, pubblicata su "Redattore Sociale" che illustra le tre priorità della proposta “Costruire il futuro dell’assistenza agli anziani non autosufficienti”, presentata con il NNA: “team care”, domiciliarità e, nei casi più complessi, “strutture come case”.

ROMA – Riformare la presa in carico della non autosufficienza, ma all’interno di una nuova visione della salute: è quanto propone Antonino Trimarchi, che con l’associazione Parkinson Italia fa parte del Network Non autosufficienza e con questa ha elaborato” la proposta Costruire il futuro dell’assistenza agli anziani non autosufficienti.

Redattore Sociale lo ha intervistato, per approfondire gli aspetti della riforma che maggiormente interessano le persone con Parkinson e chi se ne prende cura.

Perché avete aderito, come associazione, al Network e alla sua proposta di riforma?
Perché c’è bisogno di iniziare a capire che, quando si parla di presa in carico e assistenza, non si deve più fare una distinzione per patologie, ma tra livelli di non autosufficienza, per produrre piani assistenziali adeguati. Dobbiamo lavorare tutti insieme, a partire da “ciò che resta”, anche nella non autosufficienza.

Un nuovo approccio alla salute in generale, quindi…
Esattamente. Il primo passo è perfezionare la presa in carico, in generale, attraverso la valutazione multidimensionale: biologica ma anche psicologica, sociale e spirituale. Altra dimensione è quella del tempo e delle cure nel tempo: un conto è lavorare su una patologia acuta, diverso è lavorare sulle diagnosi che sono ‘per sempre’, per le quali c’è cura ma non guarigione e per le quali quindi la dimensione del tempo deve essere fondamentale nella valutazione. Serve un cambio di prospettiva, che induca a lavorare non sulla malattia ma sulla salute del paziente, che contiene anche la malattia. Nel caso del Parkinson, se curiamo la salute c’è speranza, se curiamo la malattia c’è solo il buio. Lo stretto approccio dovrebbe guidarci nell’approccio al Covid: il virus deve essere riportato e riconsiderato all’interno di una salute curata. Dovremmo prenderci cura della salute, non della malattia. E’ questo l’approccio che vogliamo suggerire con la proposta di riforma. Lo abbiamo indicato, per quanto ci riguarda, con la campagna ‘Non chiamatemi morbo’: la nuova assistenza deve consistere nel curare ciò che c’è e nell’adottare quello che non c’è più

Quale approccio alla non autosufficienza (e alla salute) prevale oggi?
Un approccio riparativo, che intende il virus, o la non autosufficienza, o la malattia, come un guasto. Proprio il virus invece ci insegna che quanto più lo affrontiamo come un nemico, tanto più lui si fa furbo e forte. La mia esperienza clinica mi ha dimostrato che più ti accanisci contro un male, più quello diventa cattivo. Per questo bisogna curare ciò che c’è intorno: il verde, la scuola, il gioco, per esempio, che producono salute. E’ quello che chiamiamo approccio ecologico alla salute, o ecologia della salute, che cura l’intero, ovvero l’interno e l’esterno. La pandemia dovrebbe averci insegnato che la cura individuale non può prevalere sulla cura collettiva: e dovrebbe suggerirci di riprendere in mano la prevenzione. Riformare la presa in carico della non autosufficienza significa riformare un sistema di cura complesso, per prendersi cura della vulnerabilità, che poi diventa non autosufficienza.

In particolare per quanto riguarda il Parkinson, quali sono le tre priorità per una nuova e più adeguata presa in carico?
Primo, prendere consapevolezza che i problemi complessi non possono essere presi in carico da una sola persona, ma è indispensabile un team integrato. Nel caso del Parkinson, non esiste un professionista titolare della presa in carico: né il medico di famiglia, né il neurologo né alcun altro medico da soli possono ottenere un risultato. Deve esserci cooperazione, “team care”, tra i professionisti ma anche con i caregiver e la famiglia. Sviluppare questa competenza e questa consapevolezza permetterà anche di evitare il burn out di chi si prende cura, assai frequente nei casi di fronte a patologie come il Parkinson. La seconda priorità è la casa: questa “squadra” deve lavorare il più possibile dentro le mura domestiche del paziente, non dentro le Rsa. La terza priorità è la domiciliarità nelle strutture: quando la situazione diventa particolarmente complessa, la struttura diventa necessaria, ma questa deve essere pensata come un domicilio e assumerne il più possibile le caratteristiche. Questo significa creare istituzioni aperte, buttare giù i muri, come diceva Basaglia, per portare la domiciliarità nelle strutture. Un ruolo chiave, in questa riforma, tanto a casa quanto nelle Rsa così intese, devono giocarlo le tecnologie moderne: abbiamo bisogno della telemedicina e di tutti quegli strumenti che, specialmente in condizioni come il Parkinson, possono aiutarci molto.

 

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