Il Parkinson al tempo del Covid-19. Intervista a Linda Lombi

L'editoriale "Sesta Stagione", ha pubblicato un'intervista alla Professoressa Linda Lombi, ricercatrice del Dipartimento di Sociologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, sui risultati della ricerca “Vivere il Parkinson al tempo del Covid 19”, condotta dall'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Confederazione Parkinson Italia e Fresco Institute. Ecco cosa ne è emerso.

La pandemia da Covid 19 ha portato notevoli cambiamenti nella vita di tutti. A risentirne particolarmente sono state soprattutto gli individui fragili, sia sotto l’aspetto delle condizioni di salute sia sotto l’aspetto emotivo.

NUOVE TECNOLOGIE? NÌ

A causa delle limitazioni conseguenti alla pandemia, in tutta la popolazione è aumentato molto l’uso delle tecnologie digitali. La ricerca “Vivere il Parkinson al tempo del Covid 19” evidenzia che molti anziani con questa malattia hanno iniziato a utilizzare le nuove tecnologie proprio durante la pandemia. “Specialmente fra chi ha un titolo di studio più alto, è significativa la percentuale di over 65 con il Parkinson che utilizza internet per avere accesso a informazioni sulla patologia. Sono stati oggetto di molte ricerche da parte di tale categoria di persone anche i video per la riabilitazione e, seppur in misura minore, applicazioni e podcast inerenti alla malattia”, afferma la professoressa Linda Lombi,  che si è occupata della raccolta e della interpretazione dei dati della ricerca. Nonostante abbiano usato di più le nuove tecnologie rispetto al passato, gli anziani con il Parkinson hanno disdetto le visite programmate in una percentuale inferiore in confronto agli under 65. Ha infatti rinunciato a visite programmate per la paura di contrarre il Covid 19 il 25,3% degli over 75, rispetto al 30,1% delle persone con meno di 64 anni e al 29% di quelle con un’età compresa fra i 65 e i 74 anni. “
“Ciò può essere dovuto al fatto che gli anziani incontrano più difficoltà a relazionarsi con i medici attraverso strumenti digitali, come le videocall o le email”, osserva la professoressa Lombi. Rispetto alle persone con Parkinson più giovani, durante la pandemia gli over 65 con questa patologia hanno interrotto la riabilitazione da un professionista in una percentuale superiore, probabilmente a causa delle peggiori condizioni motorie.

“RISPOSTE” DIVERSE

Considerando tutte le fasce di età prese in esame dalla ricerca, in merito alle strategie di fronteggiamento della pandemia sono emersi tre profili abbastanza definiti. Il primo, costituito principalmente da under 65, è quello di chi ha fatto affidamento principalmente sulle tecnologie e sulle proprie risorse personali. Il secondo, più modesto in termini percentuali, è costituito da chi ha sfruttato tutti i canali (risorse personali, famiglia, associazioni, tecnologie) per risolvere le criticità del periodo.

Infine, una parte rilevante di malati di Parkinson (quasi il 40%) ha fatto affidamento principalmente sulla famiglia e su se stesso, e si è rivolto con meno probabilità rispetto ad associazioni né a reti amicali. In questo cluster, l’uso delle nuove tecnologie è meno frequente. “Di questo gruppo fanno parte soprattutto anziani poco digitalizzati e con una condizione di Parkinson più severa, il cui capitale sociale è rivolto all’interno, ossia alla famiglia. Alla luce di ciò, è importante che queste persone siano messe in contatto con le associazioni e che siano formate sulle nuove tecnologie”, sottolinea la professoressa Lombi.

Leggi l’intervista su “Sesta Stagione” (pag. 14-15)