“Per il Parkinson punto su fisioterapia, canto, danza, teatro e pacemaker ricaricabili per la DBS”

Le notizie che ci giungono dal mondo della ricerca farmacologica non sono buone. La maggior parte dei farmaci per il trattamento della malattia di Parkinson (dopamina principalmente) sono farmaci “maturi”, cioè in uso da molti anni, e hanno raggiunto la loro punta massima di efficacia. Di nuovo in vista non c’è quasi nulla, le aziende farmaceutiche hanno anzi, in alcuni casi, abbandonato il settore di ricerca. Abbiamo chiesto al Prof. Angelo Antonini di fare il punto della situazione sulle terapie per la malattia di Parkinson.

Di nuovo in vista non c’è quasi nulla, le aziende farmaceutiche hanno anzi, in alcuni casi, abbandonato il settore di ricerca. Abbiamo chiesto al Prof. Angelo Antonini di fare il punto della situazione sulle terapie per la malattia di Parkinson.

01, D – Prof. Antonini, chi avrà una diagnosi di Parkinson nei prossimi mesi, che cosa si deve aspettare dalla medicina?

R – Abbiamo ottime terapie per correggere la carenza di dopamina già per le prime fasi della malattia ma credo che il futuro ci riservi ancora novità anche sul fronte della possibilità di rallentare il decorso della malattia. L’Unione Europea ha appena finanziato lo studio di un nuovo farmaco che dovrebbe bloccare l’aggregazione della proteina, l’alfa-sinucleina che oggi riteniamo possa essere alla base della progressione del processo degenerativo. Per la prima volta si testerà un farmaco mirato ai meccanismi del Parkinson, una notizia davvero incoraggiante.

02, D – Le terapie sintomatiche oggi disponibili sono a suo avviso accessibili a tutti, in modo uniforme sul territorio nazionale?

R – Solo in parte. Pur essendo i farmaci rimborsati su tutto il territorio nazionale esistono delle differenze nelle politiche sanitarie regionali che rendono eterogeneo l’accesso a determinati trattamenti. In particolare questo vale per i trattamenti più costosi come la rotigotina in cerotto e soprattutto le terapie infusionali e chirurgiche per i pazienti negli stadi più avanzati della malattia. Per questi trattamenti solo in poche regioni esistono dei piani di indirizzo delle procedure diagnostico-terapeutiche e spesso è solo grazie all’iniziativa di singoli medici ed ospedali che alcuni trattamenti diventano accessibili.

03, D – Scendendo nel dettaglio e premesso che la terapia farmacologica è insostituibile, quanto sono importanti le terapie cosiddette “complementari” (fisioterapia, canto, danza, teatro…)? 

R – Queste terapie hanno una grande rilevanza e sono state troppo a lungo sottovalutate. Oggi sappiamo ad esempio quanto sia importante il movimento nel Parkinson e quanto mantenere una regolare attività motoria può avere effetti benefici, non solo sul sistema muscolare e articolare, ma anche nel migliorare l’efficacia della terapia, soprattutto della levodopa. Considerato che le strutture riabilitative sono limitate, la danza, il teatro e il canto sono degli ottimi sostituti della fisioterapia e della logopedia e soprattutto forniscono anche delle opportunità di socializzazione per le persone con Parkinson e i loro familiari. Io suggerisco sempre ai miei pazienti di organizzare o aderire a queste attività, serve a superare lo stigma della malattia e ha importanti benefici anche per l’umore. 

04, D – Se la farmacologia ha tempi lunghi, negli ultimi anni la DBS(stimolazione cerebrale profonda) ha invece avuto una forte diffusione in Italia e Lei è un esperto in questo campo. Ci racconta qualcosa della sua esperienza in merito e come funziona esattamente?

R – Ho iniziato ad occuparmi di interventi di chirurgia stereotassica nel Parkinson già a metà degli anni novanta quando negli Stati Uniti era molto popolare la pallidotomia. Pochi anni dopo si scoprì che invece di fare delle lesioni mirate si poteva riportare un normale funzionamento nei nuclei cerebrali alterati dalla malattia stimolando elettricamente le stesse cellule con degli elettrodi impiantati e collegati ad un pacemaker (o generatore di impulsi). Da allora la stimolazione cerebrale profonda (DBS) è diventata la terapia d’elezione per tutti i pazienti di età inferiore ai 65-70 anni, che lamentano fluttuazioni della motilità e movimenti involontari o discinesie. È importante chiarire che stimolare elettricamente queste cellule consente di raggiungere una motilità simile a quella della levodopa. Infatti sintomi come le disfunzioni cognitive o i disturbi dell’equilibrio non migliorano né con la levodopa né con la stimolazione cerebrale profonda.

D – Sempre nell’ambito DBS, sappiamo che da un paio d’anni sono disponibili pacemaker (generatore di impulsi) di tipo “ricaricabile” cioè che non richiedono di essere sostituiti ogni 3-5 anni circa – cosa che comporta un intervento chirurgico – quando le batterie si scaricano. In Italia, quanto è diffusa e conosciuta dai neurologi questa nuova tecnologia? Lei che esperienza ha in merito? Quali sono i vantaggi e gli svantaggi?

R – Uno dei più grossi limiti all’applicazione della DBS è stato l’utilizzo di sistemi di stimolazione che necessitavano di sostituzione ogni 3-5 anni, per esaurimento della batteria che alimenta il generatore di impulsi. Finalmente, sono oggi disponibili sistemi più avanzati ricaricabili (direttamente a casa e senza rischi) che permettono di mantenere lo stesso stimolatore molto a lungo, anche fino a 25 anni! Tra l’altro, i modelli più recenti hanno la possibilità di stimolare una regione cerebrale più estesa e di aggiustare la corrente erogata in modo da adattarla perfettamente a quella dei nuclei cerebrali coinvolti. Questi nuovi sistemi purtroppo non sono ancora diffusi in tutta Italia ma credo che nel corso dei prossimi mesi tutti i centri che si occupano di neurostimolazione impareranno a conoscerne i benefici. Noi abbiamo iniziato ad usarli dallo scorso anno e deve dire che ci sono indubbi vantaggi rispetto ai precedenti.

05, D – Umanamente, come medico e come persona, che cosa si sente di dire a un paziente giovane, magari con famiglia e bambini, che ha appena ricevuto la diagnosi? 

R – Non lasciatevi condizionare dalla malattia nelle vostre scelte di vita. La terapia oggi ha raggiunto potenzialità tali da garantire nella maggior parte dei casi un eccellente controllo motorio per molti decenni. È importante avere fiducia e guardare il futuro con serenità perché le possibilità terapeutiche sono molte.

06, D – E a un paziente più in là con gli anni, che scopre di avere il Parkinson dopo i 60 anni? 

R – È evidente che se il Parkinson arriva in età più avanzata questo va ad aggiungersi spesso ad altre malattie e la gestione della quotidianità diventa molto complicata. Però, anche in queste persone, possiamo fare molto inclusa la possibilità di praticare in casi selezionati terapie come quelle chirurgiche e infusionali.


Professor Angelo Antonini
Specialista neurologo.

Dal 1990 al 1995 ha lavorato come ricercatore presso l’Università di Zurigo, Dipartimento di neurologia. Nel 1994 ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Neuroradiologia presso la facoltà di Medicina dell’Università di Zurigo (Svizzera). Dal 1995 a tutto il 1997 ha lavorato presso il Dipartimento di Neurologia del North Shore University Hospital a New York, Stati Uniti. Dal 1995 al 1997 è stato Professore associato in Neurologia presso la New York University di New York, Stati Uniti. Dal 1998 è stato dirigente medico presso il Dipartimento di Neuroscienze, Centro Parkinson degli Istituti Clinici di Perfezionamento di Milano. Dal 1999 è stato responsabile del Dipartimento funzionale di Informatica Medica presso gli ICP di Milano. Dal 2001 al 2006 è stato professore a contratto in neurochirurgia presso l’Università di Milano-Bicocca. Dal 2010 è responsabile dell’Unità Operativa per la malattia di Parkinson presso l’IRCCS Ospedale San Camillo di Venezia dove gestisce 15 letti di degenza dedicati per il recupero motorio e cognitivo di questo disturbo. È coordinatore europeo dell’attività didattica per il Parkinson per la Società Internazionale per i disturbi del movimento (MDS). È membro del team di consulenti dell’Associazione Europea per la malattia di Parkinson (EPDA).


Il Parkinson
È una malattia neurodegenerativa (lo specialista di riferimento è il neurologo) causata dalla progressiva morte delle cellule nervose (neuroni) situate nella cosiddetta sostanza nera, una piccola zona del cervello che, attraverso il neurotrasmettitore dopamina, controlla i movimenti di tutto il corpo.
Chi ha il Parkinson, proprio per la progressiva morte dei neuroni, produce sempre meno dopamina, rendendo difficile il controllo del suo corpo. Arrivano così tremori, rigidità, lentezza nei movimenti, fino all’impossibilità di svolgere le più semplici azioni quotidiane: vestirsi, mangiare, camminare, dormire, parlare… È stato dimostrato che i sintomi iniziano a manifestarsi quando sono già andati perduti circa il 50-60% dei neuroni dopaminergici.

Approfondimenti:
Trattamenti Chirurgici: la DBS – Deep Brain Stimulation
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